I 3 punti chiave dell’articolo:
Negli ultimi due anni, non si parla d’altro che di AI. La pervasività del tema ha generato visioni contrastanti tra chi la considera la soluzione a tutti i mali (del business) e chi, invece, la ritiene una minaccia cui far fronte, soprattutto nell’ottica dell’occupazione.
In realtà, l’Intelligenza Artificiale nel business non solo è reale, ma crea competitività e può esaltare le capacità umane. Ovviamente, è necessario l’approccio giusto e, soprattutto, bisogna conoscerla bene: di questo avviso è Massimo Chiriatti, Chief Technical & Innovation Officer di Lenovo, che nel corso dell’ultimo Experience Customer Club di Lenovo ha approfondito proprio cos’è l’AI in realtà e come le aziende possono davvero trarne valore con il giusto grado di consapevolezza.
Si parte proprio da un assunto: in 70 anni di relazione con i computer, abbiamo imparato a considerarli macchine perfette, che vengono programmate e non possono sbagliare. In questo contesto l’Intelligenza Artificiale, però, è un vero e proprio cambio di paradigma: il sistema non è più programmato, ma viene addestrato con i dati per apprendere e migliorare continuamente.
Ciò significa che, a differenza dei programmi tradizionali che eseguono istruzioni, i modelli di Intelligenza Artificiale evolvono con l'esperienza e l'interazione con nuovi dati, potendo effettuare previsioni generalmente attendibili a seconda della quantità e della qualità dei dati stessi. Prima, però, sono due gli scogli da superare.
Massimo Chiriatti sottolinea come il rapporto tra Intelligenza Artificiale e-business sia peculiare perché, a differenza del paradigma tradizionale, l’AI non è perfetta.
Il risultato deterministico dei classici algoritmi lascia il passo a quello probabilistico, che come tale riduce l’incertezza ma non la elimina. Non c’è un risultato certo, ma un output che va interpretato, analizzato e, soprattutto, valutato.
Ma allora perché Intelligenza Artificiale e business vivono in simbiosi? Come riporta Massimo Chiriatti, perché l’AI è in grado di scoprire relazioni tra i dati, di rilevare pattern complessi e tendenze nascoste che gli esseri umani non possono individuare per limiti fisiologici.
L’AI può per questo sorprendere, ma non ci restituisce un risultato certo: sta sempre al professionista fornire alla macchina i dati giusti e, soprattutto, valutare il suo output, fare le correlazioni del caso, decidere e agire.
Non dobbiamo avere paura dell’Intelligenza Artificiale, che sarà sempre di più il perno della competitività aziendale: di questo Massimo Chiriatti è assolutamente certo. Questo perché l’AI, oltre ad essere imperfetta by design, non è autonoma ma è creata e governata dall’uomo.
Bisogna essere in grado di gestirla al meglio e di superare le sfide presenti e future: c’è bisogno di strategia, di governance, di competenze e, soprattutto, dell’approccio giusto, che non prevede una sostituzione di ruoli ma un supporto, un potenziamento dell’esistente.
Qual è, dunque, il percorso corretto per sfruttare al massimo il binomio Intelligenza Artificiale e business? Massimo Chiriatti approfondisce i 3 pilastri dell’approccio più efficace.
Il punto di partenza sono i dati: l’azienda deve possedere dati in quantità e qualità adeguate, perché solo con i dati è possibile creare e addestrare modelli in grado di supportare le decisioni di oggi e di domani.
Se i sistemi deterministici si basano su regole, quelli probabilistici sono addestrati dai dati. Di conseguenza, solo le aziende che custodiscono i propri dati possono sfruttare la potenza dell’AI e crescere; le altre, invece, continueranno come hanno sempre fatto.
Secondo elemento cardine è l’infrastruttura. I workload di Intelligenza Artificiale richiedono altissime prestazioni in termini di capacità computazionale e storage, e in quest’ambito emerge il ruolo cruciale delle competenze, con cui creare infrastrutture AI adatte ai workload specifici di ogni cliente.
A tal fine, le imprese valutano spesso l’adozione del cloud, ma devono considerare anche tematiche di prestazioni (latenza) e di localizzazione/governance del dato. Grazie alle competenze giuste, oggi è possibile disegnare un’architettura personalizzata e, nel caso, portare l’AI in prossimità del luogo di produzione del dato, garantendo lo stesso livello di controllo esclusivo dell’era on-premise.
Terzo fattore portante sono gli algoritmi. E qui si apre il macro-tema delle competenze: la data science ha creato tante nuove figure professionali, dal data analyst al data scientist, la cui domanda supera però l’offerta, con la conseguenza per nulla piacevole di ostacolare la competitività di molte imprese.
Non tutti i progetti di Intelligenza Artificiale producono risultati brillanti, e questo non è sempre dovuto all'intrinseca complessità tecnica del tema, ma anche a un approccio errato.
Massimo Chiriatti sottolinea che la reale creazione di valore dipende dal corretto posizionamento dell'AI nel contesto aziendale, nei suoi processi e nelle sue decisioni; occorre aggiungere ora che la scelta della tecnologia è fondamentale, ma deve seguire l'individuazione delle esigenze aziendali e dei dati disponibili, che sono il cuore pulsante del paradigma.
È infine essenziale monitorare e migliorare costantemente i risultati e, non da ultimo, investire nelle persone, che sono e resteranno sempre il fulcro di ogni attività d’impresa.